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La sharing economy: condividere conviene

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Share economy: l’era dell’economia della condivisione

Coworking, crowdfunding, fundraising, carsharing, carpooling… cosa sta accadendo in Italia?

Qual è il motore che sta spingendo giorno dopo giorno questi termini ad entrare a far parte di un lessico quotidiano?
Che i vecchi modelli organizzativi piramidali stiano deponendo le armi in un’economia del 2.0 ne siamo consapevoli.
Che il digitale stia entrando in tutte le nostre attività tradizionali è sotto gli occhi di tutti.
Ok! Ora però cerchiamo di dare un senso logico a questo articolo.

In Italia, così come nel resto del mondo, stanno nascendo un po’ come funghi centinaia di migliaia di applicazioni concentrate su di una specifica azione: “LA CONDIVISIONE”.
Un’azione nata con l’avvento dei social network e che pian piano si è tradotta in un comportamento quotidiano, una ricerca costante, un desiderio impellente, quasi viscerale.
La necessità di mostrare, consigliare, far vedere, rendere pubblico, insomma: condividere.

Cosa condividevamo prima e cosa condividiamo oggi?

In un passato non troppo lontano condividevamo emozioni, ricordi, attività. Gli stessi classici social network per anni sono stati teatro di pubblicazioni di foto ricordo, viaggi amorosi, matrimoni, nascite, eventi con amici lontani.
Oggi lo scenario sta prendendo una forma diversa.

“Condividere” si sta trasformando in un modello di business, una risposta comunitaria ad un cambio paradigmatico.

Possiamo dirlo, è cominciata l’era della sharing economy. Un’era che sta definendo una sostanziale rottura degli schemi, con la volontà di riaffermare una sfera di rapporti che rende le persone più ricche, consapevoli, aperte e disposte allo scambio reciproco.

Soprattutto nel digitale, dove si sa il tempo gira più velocemente, in questi ultimi anni sono sorte molte applicazioni web che basano il loro business model proprio sul concetto della condivisione.
Molte hanno lo scopo di coordinare e mettere in contatto i viaggiatori con coloro che offrono ospitalità e mezzi di trasporto andando dal fenomeno del couchsurfing a quello del carpooling. Altre ancora si strutturano proponendo cene condivise tra viaggiatori e mentre stai leggendo questo articolo ne stanno nascendo molte altre ancora.

Condividere” si sta trasformando in un modello di business, una risposta comunitaria ad un cambio paradigmatico.

>> Leggi anche: business model dell’editoria onlineo di business

Portali come AirBnb, WimDu, CouchSurfing e Lyft sono solo alcuni di una lunga lista di siti che consentono di utilizzare nuovi schemi per trovare ospitalità e mezzi di trasporto a basso costo.
Una visione superficiale su ciò che sta accadendo potrebbe portare a pensare che così tanti case study di successo siano semplicemente risultato di una tendenza o di servizi che “piacciono perché economicamente vantaggiosi”, ma probabilmente esiste una motivazione più profonda che definisce il cambiamento.

Il sociologo Jeremy Rifkin, anni fa, preannunciò che l’economia dei consumi stesse transitando “dal possesso all’accesso” e pare che la sua visione si stia concretizzando nelle risposte dei mercati di oggi.
Da analizzare è la dichiarazione della Apple: “Le vendite di musica digitale sulla sua piattaforma iTunes sono scese del 14% dall’inizio del 2014”, mentre Spotify, il servizio di streaming musicale più popolare, nel 2013 ha aumentato del 43% i propri incassi e ha chiuso il proprio bilancio in attivo per la prima volta da quando è stata fondata.

Molti analisti del settore musicale stimano che entro la fine del 2014 saranno 37 milioni le persone nel mondo che pagheranno una sottoscrizione ad un servizio di streaming musicale.
C’è un cambio culturale in atto, che molti giornali e studiosi americani attribuiscono alla generazione dei millennials e all’aumento del lavoro freelance. Nel mondo la piega è chiara, ma in Italia? Come rispondiamo a questa nuova tendenza sociale e economica?

Ad oggi solo il 23% delle piattaforme collaborative italiane ha ricevuto un finanziamento dai venture capital.

E, sebbene pare che si stia muovendo qualcosa, risulta ancora di bassa rendita la risposta italiana rispetto tali servizi.

Basterà incrociare le dita per un’accelerazione tutta Made in Italy e per una risposta alle nuove necessità?

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