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Freelancer e l’ottimizzazione dei costi aziendali per le nuove forme di lavoro

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Appena terminato me ne andrò in un coworking per continuare alcuni lavori, confrontarmi con un cliente e inviare in consegna l’ultimo progetto.

Nessun ufficio, catena di montaggio o stereotipo di azienda verticale: la parola d’ordine è portabilità del lavoro.

Facendo un breve salto appena negli anni ’90 ci viene in mente l’immagine di un’azienda del settore terziario fatta di classici impiegati con colletto bianco pronti a cominciare una giornata grigia seduti su una postazione di lavoro fissa, senza possibilità di distogliere lo sguardo da un monitor, tutti uguali. Una sorta di catena di montaggio degna di un processo industriale. Gli operai di un tempo trasformati in impiegati pseudotecnologici.

Cambiamenti strutturali e nuove figure lavorative

A distanza di poco meno di un ventennio basta guardarci intorno per prender coscienza dei cambiamenti strutturali che hanno interessato il mondo del lavoro.
Blogger, fotografi, sviluppatori, designer, giornalisti, analisti, scrittori, video reporter, commerciali. I freelancer pare stiano aumentando a vista d’occhio.

Profili dal carattere singolare, persone a cavallo tra l’essere imprenditori e liberi professionisti, autonomi e responsabili che mettono a servizio del mercato le proprie arti, le proprie specializzazioni.
Sembra che non si tratti affatto di un fenomeno di passaggio, ma che piuttosto ci sia una crescita esponenziale di queste figure che nascono in risposta ad una necessità di mercato, una richiesta di cambiamento evolutivo che probabilmente le tante aziende elefantiache non riuscivano a dare.

Il cambiamento di cui si parla è di natura macro-sociale e macro-economica.

Tutto è partito da una prima svolta data dal modello “post fordista”, quando, secondo i dettami del modello giapponese, le aziende cominciano a produrre per piccoli lotti di prodotti differenziati, guardando da un lato alla ricerca della qualità e dall’altro alla competitività anche sul versante dei costi.
Tale cambiamento di prospettiva ha spiazzato tutti i modelli “mass production” aprendo nuovi scenari verso la “lean production” ovvero ad una produzione sempre più snella, agile, leggera, che rispondesse alle richieste di un consumatore sempre più personalizzate.

Il cambiamento di cui si parla è di natura macro-sociale e macro-economica. Oggi se ci mettiamo sulle punte dei piedi e guardiamo oltre al presente vediamo un futuro prossimo sempre più strutturato a favore di aziende smart, prive “grasso di troppo” che riescono in maniera agile a rispondere ai principi del just in time, ovvero ad una produzione organizzata secondo le richieste di personalizzazione di piccole, medie e grandi nicchie di mercato.

Cosa c’entra tutto questo con la crescita di così tanti freelancer?

Semplificando in poche righe, la connessione tra causa e conseguenza deriva dal fatto che le aziende (grandi, medie piccole) per far sì che sia sempre alto il profilo qualitativo e per ottemperare alle fondamentali variabili: costi/ricavi ricercano il modo migliore per snellire i processi di produzione evitando di strutturare i flussi di lavoro su costi fissi e dagli importanti investimenti. Come? Avvalendosi di collaborazioni, rapporti snelli, produzioni con bassa giacenza e rischio di deposito.
La scelta di questo modello fa sì che ci siano sempre più richieste di lavoro per professionisti qualitativamente riconosciuti e che riescano con abilità a rispondere ai desideri di mercato di una nicchia ben precisa.
Ecco quindi che il quadro prende forma. Sempre più richieste di lavoro specializzato, sempre più attività professionali particolari e incomprensibili per i più perché rivolte ad un pubblico estremamente ristretto.

L’avvento di questa nuova era potrebbe far pensare ad una parcellizzazione professionale che porti sempre più ad un individualismo lavorativo, ognuno che pensa ai propri interessi isolato dal resto delle dinamiche economiche e sociali. In realtà non è affatto questo lo scenario.
Nel mondo già è un trend in piena, in Italia sta prendendo forma negli ultimi anni, sta di fatto che nascono sempre più spazi di aggregazione professionale, dove la condivisione dei saperi si intreccia con i servizi di un luogo.
Parlo del fenomeno dei coworking, spazi di lavoro condiviso all’interno dei quali, attraverso eventi di aggregazione, appuntamenti professionali o anche semplici incontri ad una macchinetta del caffè si generano nuove conoscenze che aumentano la contaminazione di idee e soluzioni tra le professionalità.

>>Leggi anche: Il senso della giornata lavorativa tra digital e coworking

Sembra qualcosa di estremamente astratto, ma solo per chi non ha ancora messo piede in uno spazio di coworking.
Io nel frattempo pago il conto per evitare che i caffè arrivino a 3.

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