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Google Analytics: prospettive, opportunità e problematiche

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Negli ultimi trent’anni, il digitale ha rivoluzionato le nostre vite: raramente nella storia si è assistito a un momento di cambiamento di paradigma così epocale e repentino.
Ciò riguarda tutti: dalle Big Tech agli utenti finali del web, passando per professionisti del digitale e le PMI.

Nel corso di questi trent’anni si sono fissati degli standard – di natura tecnica, tecnologica, commerciale – che contribuiscono a formare dei veri e propri ecosistemi in cui il professionista tende a utilizzare sempre il medesimo software, per abitudine o semplicemente perché è oggettivamente il migliore disponibile, diventando esperto di quel determinato segmento.

Chi fa analisi dei comportamenti degli utenti su un sito web, ad esempio, quasi certamente si servirà di Google Analytics; strumento adottato da circa il 95% dei siti web.
Questa analisi può avere molteplici scopi: perfezionare il design del sito e ottimizzare i contenuti, qualora dovesse risultare una criticità ripetuta nel comportamento degli utenti.
L’analisi è fondamentale anche per fini di marketing B2C: permette, ad esempio, di targettizzare l’utenza in base al mancato acquisto e pianificare una campagna mail per ricondurla sul sito.

Google e i dati

Quando gli utenti navigano in rete, lasciano una serie di dati e metadati (informazioni ricavate da altre informazioni: ad esempio il tempo trascorso su un sito) che l’intelligenza artificiale interpreta e utilizza per profilarli, anche nell’ottica di comportamenti predittivi.

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Un utente che acquista determinati libri di politica sarà un potenziale elettore del candidato X.

Questi profili – ottenuti dalla sommatoria di tutti i dati – risultano essere accuratissimi: tempo fa, negli stati uniti una ragazza di diciassette anni ha scoperto di essere incinta dalle pubblicità che riceveva ancora prima di aver fatto un test di gravidanza o di averne in qualche modo sentore.

Beninteso, non parliamo di qualcosa di mai visto nella storia, anzi è pratica molto in uso presso gli enti di credito per citare un esempio, che per capire l’affidabilità di un soggetto richiedente un prestito analizzavano gli acquisti effettuati (oltre che i suoi comportamenti finanziari/fiscali).

Un istituto ad esempio riteneva affidabile un utente in quanto acquistava feltrini per non rovinare il pavimento in parquet.

Con il digitale è cresciuto esponenzialmente il numero di dati e la capacità, dell’intelligenza artificiale, di combinarli e analizzarli in funzione dei comportamenti predittivi, in base a parametri e calcoli algoritmici.

Fino a che punto possiamo fidarci di Google Analytics?

Queste tecnologie nascono con scopi di marketing e sono a disposizione di qualunque azienda e lo stato di diritto protegge i cittadini, anche dagli abusi dei poteri pubblici sull’utilizzo di questi dati.
Infatti la sensibilità in Unione Europea su questi temi è sempre stata forte, ogni stato membro si è dotato di un organo di tutela della privacy, in Italia il “Garante per la protezione dei dati personali” opera dal 1996 e una istituzione equivalente opera a livello paneuropeo dal 2004.

Il regolamento generale sulla protezione dei dati noto ai più come GDPR, promulgato nel 2016 rappresenta un riferimento non sono per le aziende che operano in Unione Europea, ma anche per le aziende che non vi operano ma essendo tenute a rispettare più giurisdizioni sono vincolate dalle normative europee.

Il mondo ideale però è, come spesso accade, solo una facciata: a ricordacelo ci hanno pensato Edward Snowden e Max Schrems, due attivisti, il primo informatico e americano, il secondo avvocato e austriaco.

Edward Snowden, ex tecnico della CIA, nel 2013 ha denunciato il governo per aver spiato i propri cittadini, documentando le sue affermazioni con prove inattaccabili.
Snowden ha infatti dimostrato che il governo ha utilizzato molteplici tecnologie atte a sorvegliare i cittadini europei, o stranieri, in particolare attraverso il programma PRISM.
Cade il mito della privacy e gli Stati Uniti non rappresentano più quel porto sicuro a tutela delle libertà fondamentali dell’essere umano il quale si trova nella spiacevole condizione di non potersi fidare più del proprio governo; un atto di tradimento che fa venire meno anche il patto sociale su cui si basa la convivenza tra individui e autorità.

Max Schrems ha citato due volte in giudizio – nel 2015 e nel 2020 – la filiale di Facebook in Europa sostenendo che gli accordi internazionali tra USA e UE non garantiscono adeguata tutela della privacy dei cittadini europei, poiché il presidente degli Stati Uniti può ordinare alle aziende americane di raccoglier e utilizzare i dati degli utenti stranieri, e questo nonostante le tutele previste dalla legge europea.

Dal 2020 quindi tutte le Big Tech americane provano a cercare soluzioni – tecnologiche e non – affinché la privacy dei loro utenti europei venga rispettata. L’ultimo atto di questa vicenda vede i garanti della privacy dei vari stati europei rispondere agli appelli dell’associazione di Max Schrems, NOYB, in cui vengono dichiarati illegittimi i trattamenti specifici di alcuni siti; in Italia, nello specifico, il magazine caffeinamagazine.it e in particolare l’utilizzo di Universal Analytics di Google.

Con lo stesso provvedimento il Garante ha provveduto a invitare tutti i proprietari dei siti a uniformarsi alla normativa. Successivamente in Italia un altro attivista, Federico Leva, con un sistema di spam ha invitato decine di migliaia di mail ad altrettanti titolari di siti chiedendo di essere rimosso dai database di Google Analytics.

Cosa fare?

Hubstrat sta seguendo costantemente e con attenzione questa vicenda con la sua rete di professionisti e sta contattando i propri clienti per proporre soluzioni mirate al proprio business.

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